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i posatoi

La gioventù di oggi non sa cosa significhi questa parola, ma percorrendo strade e sentieri di montagna se ne trovano ancora, magari “scalamati”, ma ce ne sono sempre.

Sono muretti posti a margine della strada, alti più o meno un metro e mezzo, larghi e lunghi in base a come il terreno permetteva la costruzione.

Ai miei tempi, al sorgere del sole c’era già un grande brulichio di persone nei campi, boschi e selve. Uomini, donne e ragazzi, quelli più grandicelli, che si dovevano “avvezzare” al “carichello” da portare sulle spalle, perché, come diceva il proverbio “se i figlioli un gli avvezzi da cicchi, da grandi un si pieghino più”.

La scuola dell’obbligo finiva a undici anni e così al mattino ragazzi e ragazze armati di fune e “pennato”, “cercine” e “bardello”, partivano per andare a fare legna per il bosco, a volte anche molto lontano.

Ciascuno preparava il suo “carichello”, lo legava, lo alzava e lo provava. Se era troppo pesante si levava via via qualche bastoncello finché andava bene. I maschi facevano il “bardello”(specie di cuscino fatto generalmente con una vecchia giubba; veniva portato sul collo dagli uomini per evitare il contatto diretto del carico con le spalle) e le femmine il “cercine”(piccolo cerchio di stoffa; veniva fatto di solito con il pannello e le donne lo mettevano sul capo per evitare che il carico venisse a contatto diretto con la testa) e via via passo passo con quel carichello chi sulle spalle e chi sulla testa; chi con le scarpe e chi scalzo (la pelle sotto i piedi era dura ormai come cuoio!) il pensiero che a tutti passava nella testa era quello di arrivare al primo posatoio, per deporre il fascetto di legna su quell’amato muretto, la testa e le spalle si riposavano.

Se qualche mamma previdente aveva messo in tasca al figlio un peretto vernino, un tozzo di pane o un “balloccoretto” di farina di ciaccio, quello se la mangiava volentieri, talvolta agli altri si diceva  così per sentire meno la fame: “io ho già mangiato”.

Poi si ripartiva con quei carichi sul collo per fare sosta al secondo posatoio.

Li si stava poco perché arrivava la fame e, si sa, ai ragazzi la fame arriva prima che ai vecchi.

Ai miei tempi la legna non si comprava, bisognava andarsela a fare nel bosco, spesso lontano da casa, e se i nostri vecchi non avessero inventato i posatoi, come si faceva a rimettersela sulle spalle da terra?

Aiutandosi l’uno con l’altro, è vero, ma all’ultimo il carico restava in terra, e chi lo poteva aiutare, tutti ormai caricati come muli?

A quel tempo i posatoi levavano tante fatiche alla gente dei monti, si poteva riposare se eravamo stanchi e se li vicino ci fosse stata una fontana o semplicemente una fonte, il posatoio veniva fatto più grande, così ci posava più gente, perché si sa la fatica fa sete.

Se la giornata era tutta dedicata a fare la legna e non cerano fontane lungo il tragitto, si “rimpiattava” il fiasco dell’acqua vicino al posatoio coperto di frasche e frasconi perché restasse al fresco.

C’era a Terrinca un uomo che tanto amava i posatoi e se ne prendeva cura, li teneva puliti, se ne vedeva uno sciupato lo riaggiustava.

Una mattina presto, prima dell’alba di una notte di luna piena, credendo che fosse già giorno per il chiarore che c’era, l’uomo si alza e si mette a ruzzolare sassi per sistemare un posatoio “scalamato”.

Era nel bosco, lontano dal paese, e faceva rumore nello spostare tutti quei sassi.

Un cacciatore che passava di li fu preso dalla paura nel sentire di notte quei rumori nel bosco, ma poi vedendo un uomo accucciato a lavorare gli si avvicinò, lo riconobbe, e in cuor suo gli fu grato, perché sono veramente in pochi quelli che di mattina così presto vanno a lavorare per il bene degli altri!

Ma quello era un uomo che da Campanice a Terrinca ne aveva portati tanti di carichi sulle spalle, e lo sapeva bene come sono più comodi i posatoi ben sistemati quando si arriva stanchi e affamati!

Per un lungo viaggio a piedi e con il carico dal bosco a casa o dall’Alpe a casa i posatoi erano momento di sosta, di riposo, di refrigerio, a volte vi si mangiava una boccata, un pò come facciamo oggi, durante un lungo viaggio in autostrada, ci fermiamo volentieri all’Autogrill a prendere un caffè, un panino, a fare la pipì e magari chiamare a casa.

Ecco, i posatoi erano gli Autogrill dei nostri sentieri.

Baldini Marfisa

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