Al giorno d’oggi rievocare anche in parte quello che erano “i mascheri” cinquant’anni fa nel nostro paese, può suscitare in alcuni un senso di nostalgia e in altri, più giovani, una certa incredulità.
In quei tempi la televisione non c’era e di conseguenza gli spettacoli e gli altri generi di divertimento non erano alla portata di tutte le famiglie.
Nel periodo del carnevale i giovanotti di allora avevano ideato, per divertirsi e far divertire, “I MASCHERI”.
Erano un gruppo di giovani, circa una decina che il sabato sera quando cominciava a far buio si mascheravano con quanto potevano trovare e che serviva loro per rendersi irriconoscibili: si vestivano con sottane da donna, si pitturavano il viso con ceroni, rossetti e carboni, si adornavano con nastri colorati e si mettevano veli e sciarpe sul viso; alcuni avevano anche la maschera.
Così conciati cominciavano a visitare le abitazioni dove si trovavano fanciulle e signorine con cui ballare valzer, tanghi e anche la quadriglia.
S’accompagnavano con una fisarmonica e nei trasferimenti da una casa all’altra suonavano la trombetta o un fischietto per farsi sentire annunciando cosi che stavano arrivando.
L’ultimo giorno di carnevale mettevano in atto una vera e propria sceneggiata trasportando uno di loro come se fosse morto, e piangendo e disperandosi gridavano: “è morto è morto il carnevale !!”.
A metà Quaresima organizzavano la “PENTOLACCIA” un’altra festa all’insegna dell’allegria e del buon umore.
Spesso era l’aia del Mencarini ad accoglierli altre volte le loro esibizioni si svolgevano “in corte”, la piazza antistante il Consorzio.
Questa in sintesi è la storia dei “MASCHERI” una di quelle manifestazioni genuine di una volta, che rimangono nella memoria di chi le ha vissute di persona.