Gemellaggio con i fratelli Sanniti

A TERRINCA IMPORTANTE INCONTRO TRA APUANI E SANNITI
Con grandissimo piacere ho accolto l’invito che all’inizio di agosto u. s. Lorenzo Marcuccetti e Roberto Bazzichi mi hanno rivolto per partecipare a Terrinca all’incontro del 27 agosto 2022 tra Apuani e Sanniti che a causa della pandemia Covid si è tenuto 2 anni dopo rispetto a 22 secoli precisi dalla tragica deportazione dei nostri antenati nel Sannio.
Una giornata intensa organizzata in modo ineccepibile, con viva partecipazione della popolazione del paese e della qualificata rappresentanza dei sanniti ed in particolare dei rappresentanti dell’Associazione Culturale CERCELLUS che ci hanno donato interessantissime pubblicazioni e stampe artistiche.
Rievocazione storica, ricordo dei nostri viaggi e gemellaggi dei prima anni ’80 del secolo scorso (con scoprimento di lapidi nel Sannio), presentazione di un qualificatissimo lavoro scientifico dell’Università di Pisa che attraverso lo studio del DNA è rintracciabile la “fratellanza” tra sanniti e apuani, scoprimento di mosaici che esprimono la nostra tradizione di artigianato artistico, degustazione di ottime pietanze con una cena sociale e buona musica è stata la giornata che al meglio non poteva essere organizzata.
Nel ringraziare sentitamente Giorgio Giannelli, allora Direttore del mensile Versilia Oggi, e don Giovanni Giordano di Benevento, che con il loro incontro a Roma prese avvio, con viva partecipazione istituzionale e sociale il gemellaggio che oggi ricordiamo e celebriamo, constato con viva soddisfazione che oggi si riprospetta, con nuovi e profondi studi, un rinnovato legame tra due terre molto distanti ma con stesse radici di “fratellanza” umana . Ricordo con emozione che io, allora assessore alla pubblica istruzione del Comune di Pietrasanta e Paolo Giannarelli, allora sindaco del Comune di Seravezza, inaugurammo due lapidi che continuano a testimoniare il fatto storico e l’evento del 1981; vi parteciparono anche il vice sindaco di Forte dei Marmi Tartaglia e il vice sindaco di Stazzema Romanini. Purtroppo lo scorrere implacabile del tempo ci ha portato doverosamente a ricordare protagonisti e partecipanti di quella prima stagione di incontri e scambi che ci hanno lasciato.
E’ con un sincero e sentito spirito di gratitudine che rivolgo un caloroso ringraziamento a Lorenzo Marcuccetti e a Roberto Bazzichi, che nel 1981 (allora giovanissimi) parteciparono alle giornate straordinarie e piene di affetto nel Sannio (desidero ricordare le diverse e qualificatissime pubblicazioni del Marcuccetti che nei decenni hanno tenuto vivo e approfondito questo legame), alla gente del paese di Terrinca, per il grande impegno organizzativo profuso in questi ultimi giorni di agosto e che felicemente si profila anche come impegno per il futuro. La partecipazione a questa giornata dei sindaci Maurizio Verona di Stazzema e Lorenzo Alessandrini di Seravezza dimostra un serio e concreto interesse istituzionale per il rafforzamento di questo gemellaggio guardando al futuro.
Pietrasanta, 12 ottobre 2022
Carlo Carli
DIARIO DI UN’ ESTATE ALL’INSEGNA DELLE CELEBRAZIONI TRA GLI APUANI E I SANNITI DI OGGI
Il 25 settembre dello scorso anno in Contrada Macchia nel Comune di Circello, sede della città di Bebio, arrivava Marco Leoncini. Marco, il ciclista solitario che aveva attraversato l’Italia lungo il percorso della deportazione dei Liguri Apuani nei territori del Sannio, dava inizio così ufficialmente alle celebrazioni per i 2200 anni da quell’evento di cui la Storia ufficiale ancora ne parla poco.
25 sett. 2021 Marco Leoncini vicino alla targa ricordo del 1981. Dopo quella data, sono state realizzate diverse iniziative, soprattutto nei territori degli antichi Apuani. In alcune di esse, a ricordare quegli eventi, è stata presente anche una delegazione di Circello poiché ormai da circa 40 anni si sono riaperti i canali di accoglienza e fratellanza che devono unire questi due territori.
Ma se agli inizi degli anni ‘80 del secolo scorso erano state le figure istituzionali dei vari Comuni, sempre guidati da uomini di cultura illuminati, negli ultimi anni sono state quasi esclusivamente le diverse Associazioni Culturali e di Sviluppo dei territori interessati a portare avanti con determinazione un legame che si può definire millenario.
L’Associazione Culturale CERCELLUS ha presenziato con una propria delegazione in alcuni di questi eventi.
Lo scorso 18 giugno a Pruno, frazione di Stazzema (LU), l’Associazione di volontariato “I Raggi di Belen” ha accolto la delegazione con grande gioia nell’ambito della manifestazione “RADICI: dalle Apuane al Sannio, alla ricerca di coloro che partirono.
A volte ritornano…Sulle orme degli antenati: Apuani e Sanniti si ritrovano dopo ventidue secoli”
È stata un’accoglienza e un’ospitalità inattesa, piena di amicizia e fratellanza, dove gli interventi dei diversi partecipanti hanno messo in risalto questo legame indissolubile che ci unisce. Ad arricchire la serata la presentazione del testo, voluto fortemente dalla Associazione CERCELLUS “Liguri Apuani nel Sannio – un viaggio tra storia e genetica”, scritto a quatto mani da Lorenzo Marcuccetti e Sergio Tofanelli.
A voler segnare indelebilmente questo ritorno alle origini, la visione della doppia alba del sole attraverso Monte Forato. Un evento ancestrale che resta a lungo nel cuore.
Questo abbraccio fraterno sull’onda delle celebrazioni dei 2200 anni si è ripetuto a Terrinca, frazione di Stazzema (LU), nel cuore delle Alpi Apuane il 27 agosto, a conclusione degli eventi legati alla Festa medievale. La manifestazione, organizzata dal Circolo Arci “Le Tanacce”, si è svolta attraverso più “quadri” di un unico filo conduttore: la fratellanza fra il popolo Apuano e Sannita.
Diverse sono state le espressioni per celebrare la giornata. Il primo appuntamento, svoltosi presso la sede del Circolo, ha come protagonisti gli artisti Daniele e Gabriele Lochtmans che hanno realizzato un mosaico di tre quadri che rappresentano il senso del legame storico tra chi fonda la comunità di Terrinca e l’Apuano di ieri e di oggi: da una parte la figura del Principe longobardo Tassilone che nel 766 d.C. dichiara Terrinca l’insediamento più antico dell’Alta Versilia, dall’altra la figura di un uomo Apuano con alle spalle un panorama che ricorda i territori dell’alto Sannio; a unire questi due quadri, un terzo, con due braccia che si stringono e l’iscrizione MANUS IN HISTORIA.
Di questa iscrizione ne è stata donata una copia anche alla nostra delegazione.
Successivamente, la parte più intensa di emozioni è stata la presenza di alcuni di quelli che furono i protagonisti del gemellaggio avvenuto a Circello nel 1981: Carlo Carli, al tempo vice sindaco di Pietrasanta, e Paolo Giannarelli, al tempo sindaco di Seravezza.
In Piazza XII Settembre, vicino alla ricostruzione della capanna apuana, assai simile a quelle che erano le capanne dei nostri contadini fatte di canne e fascine visibili fino a qualche anno fa nelle nostre campagne, Carli e Giannarelli alla presenza di un pubblico attento ed emozionato hanno scoperto una targa ricordo per celebrare l’incontro tra Apuani e Sanniti di oggi dopo 22 secoli.
Non ho potuto fare a meno, in quei momenti, di tornare indietro di 41 anni quando lo stesso evento era accaduto in Contrada Macchia di Circello e Carlo Carli con il sindaco del tempo Francesco Golia, scoprirono la targa ricordo che celebrava i sentimenti di due popoli che si ritrovano e riabbracciano.
Anche quella esperienza fu vissuta da me intensamente. Ero diventato il braccio destro del compianto Prof. Carlo Tartaglia Polcini, coordinatore per conto del nostro Comune per l’organizzazione dell’evento. Del resto bisognava ricambiare adeguatamente la calorosa accoglienza che ci avevano riservato l’anno precedente in Versilia e Lunigiana e quindi ebbi modo di vivere le varie fasi organizzative e di accoglienza.
Essere oggi il testimone di eventi che a distanza di tanti anni si ripetono, mi inorgoglisce.
Ma torniamo a Terrinca, perché il racconto della manifestazione dedicata ai 2200 anni ancora non si conclude. Tornati al Circolo “Le Tanacce”, la voce commossa di Carlo Carli ricordava con emozione proprio quel viaggio nel Sannio del lontano 1981 e invitava tutti affinchè l’incontro di quel giorno si ripetesse nel tempo. Gli interventi di Lorenzo Marcuccetti, storico Apuano, e di Sergio Tofanelli, ricercatore genetico che ha evidenziato piccole tracce di DNA Apuano nella struttura genetica di alcuni Sanniti di oggi, sono stati l’apice di una giornata fatta di amicizia e fratellanza.
L’ultima tappa, a chiusura delle celebrazioni, ci sarà il prossimo 29 ottobre a Vezzano Ligure (SP) in quanto questo Comune si è fatto promotore e sostenitore del “viaggio nella storia” di Marco Leoncini.
In quel giorno si riuniranno gli Apuani, i Liguri e i Sanniti di oggi, per rinnovare un patto di fratellanza sancito dalla Storia e che possa durare nel tempo.
Alfonso Tatavitto
Presidente Associazione Culturale CERCELLUS
Ritorno al futuro…
Sabato 27 agosto 2022, a Terrinca, si è svolto un incontro destinato a rimanere nelle corde del tempo. Dopo ventidue secoli infatti si sono rincontrate nel luogo di origine persone che erano state separate, loro malgrado, da eventi coercitivi.
Una delegazione della comunità di Circello (Bn), nel cui territorio si trovano i resti del municipio a cui faceva riferimento la Republica dei Liguri Baebiani (dal nome di uno dei due consoli che nel 180 a.C., insieme a Cornelio Cethego, effettuò la prima deportazione di 40.000 Liguri Apuani nel Sannio), è infatti arrivata nel caratteristico paese dell’Alta Versilia, nel comune di Stazzema. Dopo una mattinata trascorsa a scoprire (o meglio, riscoprire) le bellezze del territorio (da passo Croce fino alle coppelle della fonte di Capacchia, per completare con un pranzo presso l’agriturismo “Le coppelle”), nel pomeriggio si è svolta una emozionante cerimonia che ha visto l’inaugurazione del mosaico raffigurante un Ligure Apuano e Tassilone il Longobardo, che si danno la mano in un abbraccio teso a ricordare come la Storia, in questo antico paese, parta da molto lontano e arrivi fino al presente. Poi si è proceduto allo scoprimento di una lapide commemorativa del gemellaggio, in piazza 12 settembre 1944, alla presenza di Paolo Giannarelli (sindaco di Seravezza durante il primo gemellaggio con il Sannio nel 1980/81), Carlo Carlo (all’epoca assessore alla cultura del comune di Pietrasanta e successivamente onorevole), Alessio Tovani (assesssore del comune di Stazzema) e Lorenzo Alessandrini (sindaco di Seravezza). Infine, dopo un incontro conviviale presso la sala parrocchiale, si è svolta nella sala conferenze del Circolo “Le Tanacce” la cerimonia vera e propria, dove sanniti e apuani, a distanza di oltre duemila anni, si sono riscoperti fratelli e hanno stretto le mani. Il sindaco di Stazzema Maurizio Verona ha portato il suo saluto, poi lo scultore versiliese Sergio Sacchelli ha donato una sua opera alla delegazione sannita, così come vari doni sono stati scambiati tra i diversi soggetti istituzionali.
Una giornata all’insegna dell’accoglienza, da ripetere sicuramente nei modi e nei luoghi che le situazioni consentiranno.
Sanniti e Apuani si danno la mano ormai da oltre quarant’anni, e questa modalità prosegue anche oggi a Vezzano Ligure, in una catena che aveva già visto il paese di Pruno (Stazzema) protagonista in occasione del solstizio d’estate, a Giugno.
Una catena che, ci auguriamo, dovrà proseguire anche in futuro.
Lorenzo Marcuccetti
La storia è dentro di noi.
Le tracce delle vicende storiche dei nostri antenati sono fisicamente conservate in
ciascuna delle nostre cellule e trasmesse silenziosamente di generazione in generazione. L’informazione risiede nel modo con cui quattro piccole molecole, A T C G, si alternano in successione lineare lungo quel lunghissimo filo della memoria che è chiamato DNA. Quel filo è stato estratto dalle cellule di volontari dell’area apuana e sannitica, possibili eredi di quelle tribù Ligures che, secondo Tito Livio, furono separate dai consoli romani Bebio e Cornelio all’inizio del II sec a.C.
Una volta srotolato e letto il DNA ha rotto il silenzio e ha cominciato a raccontare:
“Lungo quel filo presente solo nel nucleo delle cellule maschili, il cromosoma Y, che viene ereditato lungo la linea genealogica che congiunge i padri con i figli come un pennato, abbiamo individuato una mutazione, una T che ha sostituito una C, avente la sua massima frequenza proprio sul territorio apuano. Allora ci siamo chiesti: la linea U152*T, così si chiama, caratterizzava le tribù liguri-apuane al tempo della deportazione ed è quindi una buona traccia per seguire l’eredità genetica dei Ligures?
Contando le mutazioni che si sono accumulate nei portatori della U152*T è possibile stimare l’età approssimativa della sua comparsa, così come, contando le scalfitture che si accumulano sul pennato, si potrebbe stimare quando è vissuto l’antenato che per primo l’ha forgiato. La risposta è stata sì, quell’antenato è vissuto almeno 4500 anni fa, un’età compatibile con l’etnogenesi dei Ligures su base archeologica.
Questo “pennato molecolare” è stato rinvenuto anche in quell’area dell’Alto Sannio dove si insediarono i Ligures deportati, pur con frequenze inferiori a quelle dell’area apuana. Il conteggio delle scalfitture ha permesso di identificare quattro volontari alto-sanniti (da Circello e San Bartolomeo in Galdo) e cinque apuani (da Pruno Terrinca Querceta Rossano) compatibili con i tempi della deportazione (180 a.C.) e non con quelli della dominazione longobarda nei due territori (VIII sec d.C.).
Nove fili/pennati molecolari sembrano aver conservato la memoria di una dolorosa separazione per un’ottantina di generazioni a un mezzo migliaio di chilometri di distanza prima di essere riscoperti. Una circostanza frutto di innovazione in campo genetico, di un accurato disegno di ricerca, di perseveranza, ma soprattutto dalla passione di due comunità per il loro passato, che oggi dà loro una ragione in più per sancire la loro fratellanza.”
Sergio Tofanelli
LA DEPORTAZIONE DEGLI APUANI NEL SANNIO
Subito dopo la seconda guerra punica (220-201 a. C.) Roma, nell’ambito del suo disegno imperialistico che prevedeva la conquista dell’Egitto, della Siria e della Macedonia, reputò opportuno mettere ordine per prima cosa nel suo dominio interno.
Costituivano una spina nel fianco i Liguri-Apuani, sottogruppo degli originari Liguri che, come rileva il prof. Eugenio Lenzi in un suo recente studio, si estendevano dalla Catalogna alla Gallia Narborense, alle Alpi Marittime, all’attuale Liguria, a parte del Piemonte Cispadano, all’Emilia fino a Modena, alla Toscana.
Erano i Liguri Apuani una tribù di origine celtica, sostiene il Santini; ladri, insidiosi, fallaci e bugiardi, sostiene Tito Livio. La superficie del territorio da essi occupato si aggirava intorno ai 4200 Kmq. e comprendeva le attuali province di La Spezia, Massa, Lucca e Pistoia. Secondo Plinio la loro influenza si sarebbe estesa fino ad Arezzo.
A sud confinavano con gli Etruschi, ma la vicinanza con questi non fu delle più pacifiche se è vero che, sottomessi questi dai Romani ne1295 a. C., gli Apuani approfittarono della circostanza per riprendersi i territori da cui erano stati da essi estromessi.
Nel 264 a. C., conquistata definitivamente l’Etruria, i confini settentrionali di Roma andavano dalla foce del Magra e, correndo lungo quelli settentrionali degli Apuani, si spingevano ad oriente fino al Rubicone, a nord di Rimini.
Quando, dopo la vittoriosa conclusione della prima guerra punica (240 a. C.) Roma si rivolse a nord per completare l’unificazione geopolitica della penisola avvertì l’importanza strategica del territorio degli Apuani costituendo esso il passaggio obbligato per accedere alla Valle padana.
Il piano degli strateghi romani, infatti, prevedeva l’attacco ai Galli Boi mediante una conversione su di essi partendo dall’alto Adriatico e, dall’alto Tirreno. Gli Apuani però non mostravano alcuna intenzione di voler collaborare per cui Roma ritenne opportuno di intraprendere quella serie di guerre ligustiche che dal 239 si protrassero fino al 177 a. C.
L’inizio delle ostilità fu sfavorevole agli Apuani che vennero battuti nel 239 dal console Postumio Albinio e successivamente da Cornelio Lentulo, Furio Filo e Quinto Fabio Massimo, il futuro «temporeggiatore».
Andava intanto svolgendosi la seconda guerra punica e poiché fino al 191 a. C. non si hanno notizie di lotte tra Apuani e Romani si è pensato ad una specie di tregua tra di essi. Infatti, sostiene il Dinelli nella sua «Storia di Camaiore», da cui abbiamo tratto la maggior parte di quanto andiamo esponendo, se è vero che Cartagine trovò nei Liguri preziosi alleati e che Annibale, volendo, dopo la battaglia della Trebbia (218 a.C.), raggiungere l’Italia centrale, scelse la «via per ligures» per portarsi su Luni, è altrettanto vero che il console Sempronio per raggiungere Arezzo scelse la via della Val di Magra, dell’Aulella e del Serchio non certo senza il tacito consenso degli Apuani,
Sconfitto Annibale a Zama (202 a. C.) i Liguri apuani cominciarono a dar segni di insofferenza verso Roma la quale si mise subito in allarme in quanto il suo duplice obiettivo:
a) Aprirsi una strada sicura lungo la costa per assicurare le comunicazioni tra Pisa e Luni.
b) Assicurarsi il transito per la Lunigiana ove preoccupazioni suscitavano le ostilità dei Galli Boi e degli Insubri, non poteva realizzarsi finché gli Apuani avessero goduto della loro indipendenza.
Nel 195 a. C. il pretore P. Porcio.Leca venne stanziato con 15 mila fanti e 800 cavalieri a Pisa perché tenesse d’occhio i Liguri apuani dal versante di nord-ovest tra il Gabberi e Matanna.
Nel 193 gli Apuani cinsero d’assedio Pisa e quando andò loro incontro da Arezzo il console Q. Minuccio essi tolsero l’assedio e fingendo di ritirarsi attirarono in una trappola mortale il romano. La guerra si protrasse per sei anni nel corso dei quali gli Apuani subirono cocenti rovesci in conseguenza dei quali essi dovettero diminuire vieppiù la loro attività bellica. Di ciò approfittarono i Romani per riorganizzarsi.
Nel 187 Roma riprese l’ostilità per cui «due forti eserciti muovendo simultaneamente dal versante padano e da quello tirrenico, assalirono gli Apuani e i loro alleati Friniati. Il primo esercito, al comando del console C. Flaminio, avanzando da Modena combatté e sconfisse i Frinisti e traversando l’Appennino si portò in Lunigiana; l’altro, alla cui testa era il console M. Emilio Lepido, prendendo le mosse da Pisa, devastò i campi degli Apuani e dopo averli costretti a battaglia li sconfisse».
Poiché gli Apuani non si arrendevano, nel 186 il Senato romano, persuaso dal tribuno Sernpronio Bleso, schierò 15 mila uomini al comando di Q. Marcio Filippo e Spurio Postumio. Gli Apuani riuscirono allora ad attirare in una imboscata Q. Minuccio il quale perse così quattromila uomini, tre bandiere ed 11 vessilli. Il luogo della battaglia prese il nome di «saltus Marcii» che taluni identificarono con Marcìone, presso Pieve Fosciana, ed altri con Marciaso, nel Sarzanese.
Nel 185 uscì da Pisa M. Sempronio Tuditano il quale «devastando i campi, bruciando i borghi ed i castelli degli Apuani si apri il varco fino a Luni e alla Magra. Gli Apuani si rifugiarono sulle alture più impervie dei loro monti ma Sempronio, superate le difficoltà dei luoghi, li costrinse a battaglia».
Nel 180 i proconsoli P. Cornelio e Marco Bebio Tanfilo con 15 mila fanti e 800 cavalieri attaccarono di sorpresa gli Apuani i quali «furono costretti ad arrendersi in numero di 12 mila. Cornelio e Bebio, dopo aver chiesto il parere del Senato, decisero di deportarli in aperta campagna lontano dai loro monti, affinché non potessero più farvi ritorno; ritenevano, infatti, che oltre questo non si sarebbe potuto mettere in atto altro espediente per porre fine alla guerra contro gli Apuani» (T. Livio, Ab Urbe condita XL, 58).
Nel paese dei Sanniti (il Sannio era stato conquistato dai romani dopo 53 anni di lotta, dal 343 al 290 a. C.) vi erano, continua Livio, dei territori di proprietà del popolo romano che prima erano stati dei Taurasini (ai quali erano stati tolti nel 296). Volendo deportare in essi gli Apuani, i consoli ordinarono che questi scendessero dai monti con la prole, le mogli, e le loro masserizie. Gli Apuani inviarono loro ambascerie per scongiurarli a non costringerli ad abbandonare le loro case, il paese in cui erano nati, i loro pennati ripromettevano di consegnare armi ed ostaggi: ma sempre invano; ed allora non avendo la forza di riprendere le armi dovettero rassegnarsi ed ubbidire.
Furono deportati a spese del Senato 40 mila uomini liberi con le mogli e i figli. Ricevettero ognuno una somma di 150 mila” denari d’argento che doveva servire per procurarsi il necessario nei nuovi luoghi di residenza. Gli stessi Cornelio e Bebio, che avevano ordinato la loro trasmigrazione, ebbero l’incarico di dividere ed assegnare i terreni, ma, dietro loro richiesta, il Senato nominò una commissione di 5 esperti che dessero loro consigli.
NeI 177 Q. Fulvio Flacco sconfisse nei pressi del fiume Pultenna (l’attuale Panaro, nella pianura romagnola) i superstiti Apuani e i Friniati. 15 mila uomini rimasero sul terreno.
Dice T. Livio: «Fulvio, con la seconda e quarta legione, attaccò partendo da Pisa, gli Apuani e li costrinse alla resa. Imbarcò circa 7 mila di essi e li mandò a Napoli oltre la costa del mare Etrusco. Di li poi furono deportati nel Sannio e furono assegnati loro dei terreni tra i loro connazionali. Aulo Postumio, che insieme a C. Calpurnio con la prima e la terza legione aveva assediato ed espugnato Balista e Suimontium, tagliò le vigne e bruciò il frumento dei Liguri apuani.fino a che costretti dai calamitosi eventi i restanti Apuani dovettero arrendersi e consegnare le.armi». Ad onor del vero lo spopolamento cosi predisposto non dovette essere assoluto dal momento che da studi antropometrici condotti dopo l’unità d’Italia e consegnati al reclutamento nel rinnovato esercito italiano risultò che i coscritti delle zone che erano state dei Liguri apuani avevano caratteri antropologici uguali a quelli del Sannio e ciò a migliaia d’anni di distanza. Tali dati hanno potuto verificarli quanti erano presenti alla visita effettuata di recente dai Sanniti in VersiIia: alcune persone, sia versiliesi che sanniti, infatti, si somigliavano come due gocce d’acqua.
Ma quali furono, per ritornare in argomento, le località in cui i nostri antichi progenitori furono deportati? A tal proposito il prof. Lenzi, da noi interpellato, ci ha detto che assai discorde è l’opinione dei vari ricercatori del secolo passato (Guarini, Dalla Vecchia, Garrucci, Meomartini, De Agostini) sulle precise località del Sannio ove gli Apuani vennero trasferiti.
Poiché T. Livio narra che il Senato decise di deportarli nei campi pubblici che erano sfati dei Taurasini o Tauraini, alcuni storici, come il Dalla Vecchia, ritengono di poter identificare questi luoghi con le campagne di Taurasi o dell’antica Eca dalle cui rovine avrebbe avuto origine S. Angelo dei Lombardi. Il Meomartini ritiene debba leggersi non «taurasini» ma «taurini» o «tauranini» dal nome dei progenitori dell’attuale Reino, paese identificabile con quel pago ligustino al confine con la «Res Publica Ligurum Baebianorum» di cui parla la tabula alimentaria attualmente conservata nel Museo delle Terme di Roma.
Tale tabula, ritrovata nel secolo scorso in località Macchia, comune di Circello, sulla sinistra del fiume Tammaro, in provincia di Benevento, è di tale importanza da far ritenere che se una parte degli Apuani fu trasportata nei campi taurasini un altro gruppo, più precisamente quello dei Baebiani, abbia trovato sede nella ricordata Macchia e zone circostanti.
La tabula in questione, rileva sempre Lenzi, ci ha fatto tra l’altro conoscere che, dopo tre secoli dal forzato trasloco, gli Apuani conservano ancora il loro nome, le loro istituzioni e si reggevano a repubblica autonoma. Purtroppo caddero preda dei Saraceni che dal 728 all’863, muovendo dall’emirato di Bari, misero a ferro e fuoco ogni cosa intorno a Benevento, Sepino, Boiano e Isernia in particolare durante l’emirato di Seodano.
PIETRO VITI
da “il Dialogo” – Luglio-Agosto 1981 – pp. 12-13
tabula alimentaria
PERCHÉ PROPRIO A CIRCELLO?
Al convegno di Seravezza, il 26 aprile scorso, il prof. Augusto C. Ambrosi aveva evidenziato, con una egregia e competentissima relazione, tutta la cautela dello studioso serio e attento, sulla vicenda dei Liguri Apuani tradotti nel Sannio.
Oltre alle fonti storiche ed ai reperti di epoca romana, nessun segno, nessuna presenza di una cultura se non identica, almeno simile a quella dei Liguri deportati. Eppure tanta gente estirpata dalle proprie terre avrebbe dovuto lasciare almeno un segno, una prova della propria esistenza, una eredità leggibile, chiara, inequivocabile. lo ero seduto tra il pubblico ed ascoltavo attentamente le parole dell’illustre studioso e pensavo alle «teste apotropaiche» viste nella «valle» come noi chiamiamo Circello medioevale.
Certo, sarebbe stato bello mostrarle al prof. Ambrosi, ma chi mai lo avrebbe portato a circello? Quella stessa sera, stanchi morti dal lungo viaggio e bagnati dalla pioggia, eravamo, all’incirca verso le ore 22,30, “nei saloni del Castello del Piagnaro in Pontremoli, per visitare il Museo delle Statue-Stele della Lunigiana.
Con l’amico Alfonso Tatavitto (l’autore del calco del rilievo di Circello) ci scambiammo uno sguardo d’intesa. Cos’erano quelle stele, specialmente quelle della sala dei calchi? Non richiamavano una strana somiglianza con il nostro «rilievo» della torre di S. Angelo?
Evitammo ogni domanda ‘Perché troppo sorpresi da quella somiglianza e da buoni turisti «mettemmo la lingua in tasca» a dirla con il Verga.
Fu alla fine del maggio scorso che con Giorgio Giannelli e con Bruno Antonucci del Museo di Pietrasanta ci incontrammo nella Macchia di Circello. Allora ci accolse il sole e andammo, nei campi d’orzo, alla ricerca delle «antiche vestigia». Poi l’Antonucci s’inerpicò con noi, in Circello, sotto la torre di S. Angelo per osservare quello strano rilievo sul quale Giorgio, a suo dire, ravvisava una partoriente con bambino.
Il rilievo della torre di S.Angelo (foto Antonio De Capua)
Il 1° luglio scorso I’Antonucci mi scriveva, con molta cautela, che avrebbe cercato di proporre allo studio del prof. Ambrosi la diapositiva del reperto da lui osservato, al fine di una lettura più attenta.
Già in quei giorni noi ci chiedevamo: «Perché la figura rappresentata, “di significato oscuro”, a detta di molti studiosi come ad esempio il compianto prof. Rotili, aveva “quella” linea clavicolare tipica delle statue stele lunigianesi e quel volto appena abbozzato quasi od “u”, con occhi a bulbo, tanto simile alla produzione ligure della prima romanizzazione?
Perché proprio a Circello, già sede dei Liguri bebiani, e non altrove? Perché unica produzione di quel tipo in tutta l’Italia Meridionale?».
Il 19 settembre abbiamo fornito al prof. Ambrosi il calco, la fotografia, la documentazione esistente e la visione diretta del rilievo. Per l’occasione si è mobilitata tutta la gioventù di Circello. Ora aspettiamo con ansia la sua risposta con tutte le cautele del caso. Poiché i Liguri «ivi furono tradotti», oltre alla storia che racconta i fatti sulla base della memoria umana e degli interessi contingenti, forse avremo la prova tangibile anche dell’esistenza di una cultura comune che confermerà il «gemellaggio» senza più ombre di dubbio. Allora saremo veramente fratelli, anche dopo millenni di separazione.
Con l’inizio degli scavi, ormai imminenti nella Macchia, quando saremo al primo stadio dell’insediamento iniziale, siamo certi di trovare, perché ci sono, anche le tombe a cassetta.
Chiameremo per telegramma l’Antonucci e l’Ambrosi, con l’amico Giorgio, perché veramente se lo meritano.
CARLO TARTAGLIA POLCINI
da «Versilia Oggi» – Anno 16 – n. 165 – Novembre 1981 – pp. 1-2
LA SCULTURA DI CIRCELLO È NEL SEGNO DELLA CONTINUITÀ
C’è in essa il «Sentimento» delle statue-stele Iiguri-apuane.
Si tratta di una traccia importante della reminiscenza dei 47 mila deportati.
Tra i numerosi elementi positivi che dobbiamo ascrivere alla visita della delegazione versiliese-lunense nel Sannio, due principali ci sembrano di notevole rilievo, meritevoli quindi di essere conosciuti.
Il primo sta nella poderosa scultura alto medioevale di Circello che «Versilia Oggi» ha pubblicato in prima pagina nel numero di novembre.
Noi non diciamo che si tratti di una statua-stele perché di queste non ha i principali elementi di base. La scultura di Circello è ricavata in un grosso blocco che non ha nulla a che fare con le «stele», cioè con quei cippi antropomorfi che vogliono rappresentare una immagine umana nella sua sagoma e nel suo volume. Questa ha inoltre vari elementi narrativi che appartengono a tutt’altro mondo e che la fanno ascrivere cronologicamente ad un più evoluto orizzonte. Non sappiamo neppure cosa voglia rappresentare con esattezza in quel suo atteggiamento accosciato, con quel vaso sul petto, con la figurina emergente da una spalla e, soprattutto, con quei sibillini attrezzi rappresentati in basso.
Poiché non ci manca fantasia potremmo suggerire tante interpretazioni, ma allo stato attuale delle conoscenze preferiamo stare con i piedi per terra, dicendo soltanto le poche cose che si possono obiettivamente dire.
È certo che il baculum rovesciato, ornato a perline e a fuseruole, è di ispirazione romana o tardo-romana, ma che persiste anche per buona parte dell’alto medioevo. Si pensi allo stucco di S. Caprasio di Aulla risalente al IX secolo. Possiamo ancora dire con Mario Rotili che l’iscrizione, in caratteri capitali, è probabilmente di epoca normanna e che vi è stata aggiunta in una utilizzazione secondaria. Che la pietra poi è stata riutilizzata per la terza volta nella costruzione della torre di Sant’ Angelo nel 1272.
Non giureremmo neppure che provenga da Macchia come vuole la tradizione, ma questo ha importanza secondaria.
Quello che mi ha subito colpito è la grammatica espressiva usata nella rappresentazione del volto, del collo e dell’attacco delle braccia al tronco. Tutta questa parte ha stretta relazione, a mio parere, con le statue-stele del Gruppo C, cioè di quelle che appartengono all’ultima fase della statuaria antropomorfa della Lunigiana. Noteremo infatti il segno a T del volto con gli occhi a grosse pastiglie e l’appendice all’altezza del mento che sembra lo stesso motivo della n. 15 (Filetto II o «Bocconi»).
Dobbiamo poi aggiungere la robustezza del collo, quasi struttura geometrica, troncoconica che sfugge alle dimensioni e alle proporzioni anatomiche per essere simbolo di un portamento che ricorda motivi iconografici remoti. La scultura di Circello, inoltre, presenta quella linea clavicolare, accentuata dalla bocca del vaso, secondo uno schema che dall’eneolitico alla romanizzazione tutte le statue-stele della Lunigiana recano invariabilmente. È la linea che segna l’attacco delle braccia e che dà un segno inconfondibile a tutti quei monumenti.
Ora noi non diciamo, e non possiamo dire, che quella scultura sia stata modellata da un tardo bebiano, ma che in essa ci sia una lontana reminiscenza, il «sentimento» inconscio di antichi modelli ci sembra ipotizzabile.
Se in Lunigiana la romanizzazione ha fatto sparire questa antica tradizione, tanto che oggi sarebbe del tutto vano ricercarvi qualche cosa del genere, non dovrà apparire molto strano trovare, invece, un ricordo del genere nel lontano Sannio. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la terra di esilio dei liguri-apuani è divenuta «area di relegazione periferica» per quelle popolazioni, e che secondo una legge che vale per l’etnografia come per la linguistica, in dette aree, come in tante isole, si mantengono a lungo e sopravvivono fisse e statiche, oltre ogni possibile previsione, caratteristiche che, invece, si evolvono e spariscono subito nel centro primario di origine e di irradiazione.
Naturalmente non abbiamo prove scientifiche certe per poter dimostrare tutto questo, ma gli elementi a nostra disposizione ci invitano ad un giudizio probante.
Se la scultura viene da Macchia è logico averla trovata-in superficie, magari al livello tardo romano o di poco precedente la distruzione della città. È il segno di una continuità che dovremmo trovare meglio ed in forme forse ben più sorprendenti in profondità, in quei livelli stratigrafici repubblicani o del primo Impero che forse non hanno più un «sentimento» inconscio delle statue-stele, ma che di esse serbano ancora un ricordo immediato e diretto.
Dicevo all’inizio che due elementi meritano essere segnalati: l’altro è l’affinità che il toponimo Morcone presenta con Mocrone in val di Magra, ma di questo parleremo un’altra volta.
Prof. AUGUSTO C. AMBROSI
da «Versilla Oggi – Anno 16 – n. 166 – Dicembre 1981 – pp. 1-2

