
Passeggiava lungo i marciapiedi della sua cittadella, con le mani sempre dietro la schiena. A suo modo era un uomo solitario, ma spesso si fermava nei bar per scroccare qualche bicchieretto di rosso. Quando poi incontrava il suo amico dell’Alta Versilia che gli offriva da bere alla loro amicizia. Casimiro in quel frangente era solito dire: perché la nostra amicizia sia molto lunga, a me un tubo signora Elenita! Suonava nella banda musicale e per lui era una grandissima soddisfazione, indossava la divisa e via col suo clarinetto per le piazze e le strade, dove la gente ascoltava volentieri. Alcuni buontemponi, maleducati, a volte si divertivano a dirgli frasi che lo facevano arrabbiare, ma pur rispondendo risentito, mai lo faceva con parole volgari. Quel lunedi di un assolato mattino di giugno, la passeggiata di Casimiro si protrasse piu del normale, arrivo all’uscio di casa verso le ore undici e mezza e nella dimora non v’era nessuno, aprì con la sua chiave e si mise in cucina ad aspettare sua cognata Argia per il pranzo. Era un tipo mangiante e per l’appunto quel giorno dalla credenza usciva un odorino particolare, Casimiro non seppe resistere, aprì lo sportellino a vetro e vide la zuppiera bianca lì adagiata, di colpo sollevò il coperchio e dentro c’era una dozzina di polpette di carne macinata, belle rosolate, che aspettavano solo di essere mangiate. Ne divorò quattro una dietro l’altra, poi richiuse veloce la zuppiera e si mise sul divano della sala. Da lì a poco arrivo Argia dal mercato e si mise subito a cucinare, perchè suo marito Anselmo, fratello di Casimiro, veniva come sempre per il pranzo a mezzogiorno preciso. I tre si misero a mangiare. Appena consumato il primo piatto Argia si alzò per prendere le polpette da servire insieme all’insalata e subito si accorse che qualcuno c’era arrivato prima di lei. La donna, molto astuta, ricoprì la zuppiera e servì del formaggio. Quando stavano per finire il pranzo, Argia si alzò per fare il caffè e disse “nella credenza mancano delle polpette, le avete mangiate voi Casimiro?” Alzandosi di scatto, Casimiro esclamò “io non ne so nulla!”. “Non è per tre o quattro polpette” disse Argia “ma nell’impasto ho aggiunto un forte veleno per topi, perchè in cantina ci mangiano le patate”. Anselmo ormai era tornato in segheria, la donna si mise a rigovernare la cucina quando si accorse che Casimiro era sparito. Forse sarà al cesso, pensò tra se Argia, lo chiamò ad alta voce ma non ci fu risposta; guardò ansiosa fuori dalla finestra e per la strada non c’era anima viva. Infine non rimaneva che bussare alla porta della sua camera da letto, si avvicinò lentamente quando gli parve di udire l’inconfondibile, rauca voce di Casimiro. Aprì lentamente laporta a bocca di cane e vide la “funerea scena”, Casimiro giaceva steso sopra il letto, si era messo il vestito scuro a doppio petto, la cravatta, poi aveva acceso delle candele e con la corona avvolta a una mano, con l’altra si batteva sul petto esclamando “è colpa tua Casimiro, è colpa tua! Non le dovevi mangiare le polpette prima del tempo. Ora devi morire, ora devi morire”.
Carlo Mario Santini